venerdì 19 maggio 2017

GIOVANI IN EQUILIBRIO PRECARIO - Il Rapporto Giovani 2017 della Fondazione Toniolo

“Se vogliamo ancora sperare in un futuro migliore non dobbiamo considerare i giovani come i “perdenti” da proteggere in un mondo diverso dal passato, ma le risorse principali per contribuire a cambiare il mondo nella direzione auspicata – ha detto Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statitistica Sociale all Università Cattolica e curatore dell’indagine del Toniolo.
Di fronte alle grandi trasformazioni demografiche, alle sfide poste dalla globalizzazione e dall’innovazione tecnologica – destinate a produrre un grande impatto sulle vite dei singoli, sull’organizzazione sociale, sulla crescita economica – è cruciale, anzi vitale, aiutare le nuove generazioni a produrre nuove mappe della realtà che muta e individuare i percorsi più promettenti per raggiungere obiettivi condivisi. Il rischio è altrimenti quello per i giovani di perdersi e per la collettività di impoverirsi e veder aumentare diseguaglianze generazionali e sociali. “

Fotografato dal Rapporto Giovani 2017 dell’Istituto Toniolo il mondo giovanile svela le aspettative, le ansie e le delusioni delle nuove generazioni italiane.
Il tema del LAVORO risulta sempre più legato al mondo giovanile italiano dal quale emerge forte la preoccupazione nei confronti di una condizione di difficoltà che non fa intravedere sbocchi lavorativi e che risulta accentuata da una crisi economica che ha colpito molti paesi e tutte le fasce d’età. Ma le nuove generazioni sono anche il “nuovo che produce nuovo”. Non vengono per essere uguali alle generazioni dei genitori e dei nonni. Sono quindi il modo attraverso cui una società costruisce e INNOVA il proprio futuro cercando di compiere con successo il percorso di transizione alla vita adulta nonostante il rischio di impoverimento materiale, frustrazione psicologica e disagio sociale. Tutto questo in un contesto sempre più legato alla coscienza della necessità di un investimento personale nella FORMAZIONE grazie alla quale si preparano alla vita oltre che al mondo del lavoro.

È questo il quadro che emerge dal RAPPORTO GIOVANI 2017(RG2017) dell’Istituto Toniolo realizzato con il sostegno di Intesa Sanpaolo e della Fondazione Cariplo . Il RG2017 si è basato su un campione di oltre 9.000 giovani tra i 18 e i 32 anni.
L’ intera indagine è raccolta nel volume “La condizione giovanile in Italia – Rapporto Giovani 2017”  edito da Il Mulino,  disponibile nelle librerie .

La fotografia del RG2017 del mondo giovanile italiano ci presenta una generazione in equilibrio precario tra rischi da cui difendersi e opportunità a cui tendere, con freni culturali e istituzionali alla messa pienamente in campo di tutto il proprio potenziale, troppo spesso misconosciuto e sottoutilizzato. Il 92,2% degli intervistati dichiara di non essere riuscito a realizzare i propri desideri formulati l’anno passato di uscire dalla famiglia di origine.
Sotto la lente d’ingrandimento del RG2017 gli snodi principali della transizione alla vita adulta: la formazione, il lavoro, l’autonomia e le scelte di vita a partire dalla scuola. In tale ambito il RG2017 restituisce il punto di vista dei giovani del contesto scolastico, non solo sulla sua capacità di essere luogo di apprendimento, ma anche su come incide sul benessere individuale e relazionale, oltre che sulle ricadute rispetto agli altri ambiti di vita. Oltre tre quarti del campione complessivo concorda nel sostenere che l’istruzione scolastica serve in primo luogo ad attrezzare la persona, accrescendone le abilità e le conoscenze (80,5%), promuovendo la capacità di ragionamento (75,9%) e di stare con gli altri (75,3%). Sei intervistati su dieci sono convinti che l’istruzione sia anche una risorsa utile per affrontare la vita (60,5%).



"SE MI AMATE......" Il Vangelo di domenica 21 maggio

Il giogo leggero dei comandamenti del Signore 
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi.
 
Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».
 
La prima parola è «se»: se mi amate. Un punto di partenza così libero, così umile, così fragile, così fiducioso, così paziente. Non dice: dovete amarmi. Nessuna minaccia, nessuna costrizione, puoi aderire e puoi rifiutarti in totale libertà. Ma, se mi ami, sarai trasformato in un'altra persona, diventerai come me, prolungamento dei miei gesti, eco delle mie parole: se mi amate, osserverete i comandamenti miei.
 
Non per dovere, ma come espansione verso l'esterno di ciò che già preme dentro, come la linfa della vite a primavera, quando preme sulla corteccia dura dei tralci e li apre e ne esce in forma di gemme e foglie. In questo passo del Vangelo di Giovanni, per la prima volta, Gesù chiede esplicitamente di essere amato. Il suo comando finora diceva: Amerai Dio, amerai il prossimo tuo, vi amerete gli uni gli altri come io vi ho amato, ora aggiunge se stesso agli obiettivi dell'amore.
 
Non detta regole, si fa mendicante d'amore, rispettoso e generativo. Non rivendica amore, lo spera. Ma amarlo è pericoloso. Infatti il brano di oggi riporta sette versetti, in cui per sette volte Gesù ribadisce un concetto, anzi un sogno: unirsi a me, abitare in noi. E lo fa con parole che dicono unione, compagnia, incontro, intimità, in una divina monotonia, umile e sublime: sarò con voi, verrò presso di voi, in voi, a voi, voi in me io in voi.

Gesù cerca spazi, spazi nel cuore, spazi di trasformazione: se mi ami diventi come me! Io posso diventare come Lui, acquisire nei miei giorni un sapore di cielo e di storia buona; sapore di libertà, di mitezza, di pace, di forza, di nemici perdonati, e poi di tavole imbandite, e poi di piccoli abbracciati, di relazioni buone e feconde che sono la bellezza del vivere.

Quali sono i comandamenti miei di cui parla Gesù? Non l'elenco delle Dieci Parole del monte Sinai; non i comandi esigenti o i consigli sapienti dettati in quei tre anni di itineranza libera e felice dal rabbi di Nazaret. I comandamenti da osservare sono invece quei gesti che riassumono la sua vita, che vedendoli non ti puoi sbagliare: è davvero lui. Lui che si perde dietro alla pecora perduta, dietro a pubblicani e prostitute, che fa dei bambini i principi del suo regno, che ama per primo, ama in perdita, ama senza aspettare di essere ricambiato.

«Come ho fatto io, così farete anche voi» (Gv 13,15). Lui che cinge un asciugamano e lava i piedi, che spezza il pane, che nel giardino trema insieme al tremante cuore della sua amica («donna, perché piangi?»), che sulla spiaggia prepara il pesce sulla brace per i suoi amici. Comandamenti che confortano la vita. Mentre nelle sue mani arde il foro dei chiodi incandescenti della crocifissione.


(Letture: Atti 8,5-8.14-17; Salmo 65; 1 Pietro 3,15-18; Giovanni 14,15-21)
 
 
Ermes Ronchi 
 

(tratto da www.avvenire.it)


giovedì 18 maggio 2017

NON DARSI BOTTE IN TESTA PER DIALOGARE CON GLI ALTRI. Questa è la vera rivoluzione culturale!

Il compito vero – nei giorni che ad ognuno è dato di vivere – è intendersi con gli altri “senza darsi botte in testa reciprocamente”: Bonhoeffer ne era convinto. Oggi solitudine e isolamento incombono e si rischia di invecchiare e morire prima ancora di crescere. La situazione non ammette semplici spettatori di lotte altrui.
È davvero urgente ricostruire la tessitura della società attraverso una rivoluzionaria cultura del dialogo. Superare la soglia dello specchio e imparare ad arricchirsi della diversità dell’altro è possibile; scoraggiarsi è la più grande tentazione. Non ci sono ricette o facili scappatoie. Si tratta di mettere in dialogo tutte le forze vive, non di vincere sugli altri.
Rispetto a quanto siamo abituati a fare, vera rivoluzione è solo un impegno umile, deciso a pensare, cercare, provare e trovare la propria strada per un confronto reale. Nella trasparenza della fraternità è possibile e anche facile riconoscere semplicemente i propri passi falsi. Purtroppo però è altrettanto facile prenderli a pretesto per discernere quelli degli altri. Così succede che il confine fra lo spirito cordiale e l’ironia è indefinito e raggela il sorriso.
Eppure i rapporti difficili si possono curare. Parola d’ordine evangelica è: “Apriti!” (Mc 7,31-37), lascia che attraverso le tue orecchie entrino in te le voci e i suoni del mondo, le armonie e le dissonanze, le parole e i silenzi… Chiediti che cosa provi e perché. Cerca di capire quello che provano gli altri e perché… E il nodo che ti porti dentro, pian piano, comincia a sciogliersi. Diventa più chiaro dare un nome alle proprie e altrui emozioni e realistico imparare a gestirle in un ‘parlarsi,, che sia via alla fraternità. Vita in realtà è comunicare con la sofferenza e la gioia delle persone; accogliere ciò che chi ‘mi’ vive accanto pensa, sente, desidera…
Se nel rapporto interpersonale si vuole sempre e solo luce, chiarezza, certezza assoluta, forse si vuole dominare più che comunicare. Perché il dialogo autentico non è un caffè istantaneo e non dà effetti immediati. Ma se si parte dalla vita e dalle esigenze dell’altro, qualche strada nuova si apre. Anche nelle situazioni più buie e contraddittorie della storia – ci ha insegnato il cardinal Martini – lo Spirito è all’opera e pone segnali di bene, che chiedono di essere riconosciuti per fondarvi la speranza che non delude.
Mettere la maiuscola all’Altro, significa prendere sul serio le persone, la loro alterità umana, uscire insomma dalle prigioni del narcisismo… Allora nascono i più bei progetti: fragili, reali, sempre aperti al cambiamento…

Non praticheremo mai a sufficienza questo orizzonte profetico nel quale si accolgono le differenze come parte di un cammino comune. Mettersi in condizione di parità con l’altro e non di distanza rende, comunque, possibile offrire – con verità e umiltà – parole che aprono, abbracciano, facilitano, aiutano a sollevare lo sguardo da se stessi.

NON DARSI BOTTE IN TESTA PER DIALOGARE CON GLI ALTRI. Questa è la vera rivoluzione culturale!

mercoledì 17 maggio 2017

STOP AL CYBERBULLISMO! La camera approva la proposta di legge.

L’Aula della Camera, il 17 maggio,approva definitivamente la proposta di legge C. 3139-B: Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo (già approvata dal Senato, modificata dalla Camera e nuovamente modificata dal Senato).


Cyberbullismo, Fedeli: “Tema molto serio, bene approvazione della legge. Miur già al lavoro per dare immediata attuazione”

      “Il cyberbullismo è un tema serissimo. Ritengo per questo molto importante l’approvazione di una legge specifica per il contrasto di questo fenomeno. Il Parlamento ha fatto un lavoro che era necessario: finalmente si affronta pienamente e in modo deciso un problema che non può essere sottostimato. Ringrazio i colleghi parlamentari, in particolare la Senatrice Elena Ferrara, per l’impegno profuso nel raggiungere questo obiettivo. Il Ministero è già al lavoro affinché la legge trovi immediatamente piena attuazione”.

     Così la Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli, commenta la definitiva approvazione alla Camera della legge sul cyberbullismo.
     “Con questo provvedimento – sottolinea Fedeli – mettiamo al centro la tutela delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi. Lo facciamo, in un’ottica di prevenzione, a partire dalla scuola che è luogo principale di formazione, di inclusione e accoglienza. Finalmente abbiamo imboccato la strada giusta”.
     Nei giorni scorsi il Ministero ha già riunito la Conferenza dei coordinatori regionali degli Uffici scolastici sul bullismo per attivare immediatamente la ricognizione delle docenti e dei docenti in ciascuna istituzione scolastica, così come richiesto dalla legge appena approvata. I referenti, spiega il provvedimento, coordineranno le iniziative di prevenzione e di contrasto del cyberbullismo, anche avvalendosi della collaborazione delle Forze di polizia nonché delle associazioni e dei centri di aggregazione giovanile presenti sul territorio.

martedì 16 maggio 2017

BUONA SCUOLA - PUBBLICATI IN G.U. I DECRETI ATTUATIVI

Pubblicati nel Supplemento Ordinario n° 23 alla Gazzetta Ufficiale n° 112 del 16 maggio 2017 i decreti legislativi di attuazione dell’articolo 1, commi 180 e 181, della legge 13 luglio 2015, n. 107

DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 59
Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria per renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della professione, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera b), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (17G00067)

DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 60
Norme sulla promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creativita’, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera g), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (17G00068)

DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 61
Revisione dei percorsi dell’istruzione professionale nel rispetto dell’articolo 117 della Costituzione, nonche’ raccordo con i percorsi dell’istruzione e formazione professionale, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera d), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (17G00069)

DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 62
Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (17G00070)

DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 63
Effettivita’ del diritto allo studio attraverso la definizione delle prestazioni, in relazione ai servizi alla persona, con particolare riferimento alle condizioni di disagio e ai servizi strumentali, nonche’ potenziamento della carta dello studente, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera f), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (17G00071)

DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 64
Disciplina della scuola italiana all’estero, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera h), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (17G00072)

DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 65
Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera e), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (17G00073)

DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 66

Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilita’, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (17G00074)


lunedì 15 maggio 2017

EDUCARE ALLA CITTADINANZA. Famiglia, Chiesa, Scuola, Istituzioni in interazione per costruire il bene comune..

LA FAMIGLIA, LA CHIESA, LA SCUOLA E LE ISTITUZIONI
PER L’EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA


Lunedì 22 Maggio 2017
PALERMO
Palazzo Reale
Sala Pier Santi Mattarella      Piazza Parlamento
                                                          
 «La Famiglia è il primo nucleo di relazioni. La scuola è la prima società che integra la famiglia.
        La famiglia e la scuola non vanno mai contrapposte.
 Per educare un figlio ci vuole un villaggio»
                                                                                  Papa Francesco


Nel Ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino


In collaborazione con
AGe – AIMC – CEI –  CISS Palermo - Don Bosco "Ranchibile" - FIDAE – FISM - FORAGS SICILIA- MIEAC – UCIIM - Ufficio Scolastico Regionale  -  Uffici di Pastorale della Educazione, della Scuola, della Università, della Cultura -  Ufficio di Pastorale della Famiglia -  Ufficio di Pastorale delle Comunicazioni - Ufficio I.R.C.


Ore 16:30

Introduce – Maurizio Nobile – Presidente Regionale A.GE.S.C.
Saluti – Giuseppe Lupo - Vice Presidente dell’ARS
Saluti – Barbara EvolaAssessore Scuola e Realtà dell’Infanzia  Comune di Palermo
Saluti – Rino La Placa – Presidente Associazione ex Deputati ARS
Modera
StefaniaMacaluso – Coordinatrice della Pastorale Scolastica

Relatori
Roberto Gontero – Presidente Nazionale A.GE.S.C.
Giovanni Salonia – Psicoterapeuta dell'Istituto di Gestalt HCC
Pasquale D’Andrea–Garante dei diritti dell’infanzia e per l’adolescenza del  Comune di Palermo
Valentina Chinnici – Presidente CIDI Palermo
Fiorella Palumbo–Dirigente Tecnico USR
Interventi Programmati
Lucia La Fata – Responsabile Pastorale Scolastica e Università
Chiara Di Prima – Presidente Regionale UCIIM
Salvatore Mangiapane – Presidente Regionale FIDAE
Giuseppe Re – Responsabile Pastorale della Famiglia
Dario Cangialosi – Presidente FISM Regionale Sicilia
Giovanni Perrone – Presidente Provinciale AIMC di Palermo
Peppino Russo – Presidente Regionale AGE
Giovanni Milazzo – Presidente Diocesano MIEAC

Antonio Costanza – Coordinatore FORAGS Sicilia e Presidente  ANFFAS di Palermo

lunedì 8 maggio 2017

COMUNICARE AL TEMPO DEL VIRTUALE








Ho visto recentemente un gruppo di ragazzini in gita scolastica e mi ha colpito il fatto che non facevano chiasso scherzando tra di loro, come accadeva quando ero ragazzino io, e neppure erano riuniti intorno a uno di loro che suonava la chitarra: stavano ognuno per conto proprio, col capo chino sui rispettivi cellulari, alla ricerca di messaggi in arrivo e impegnatissimi a mandarne a loro volta, premendo freneticamente i tasti con entrambi i pollici.
La scena è così frequente che menzionarla potrebbe essere quasi banale. Come banali sarebbero commenti della serie: «Che gioventù! Ai miei tempi…». Forse meno banale sarebbe rendersi conto che questi nostri figli non scelgono di comportarsi così: sono solo nati in un contesto sociale e culturale in cui questi mezzi di comunicazione sono diventati indispensabili per mantenersi in relazione con gli altri – compresi i loro genitori, che gliene fanno dono, mentre sono ancora piccoli, per poterli raggiungere e magari controllare quando sono fuori casa. Che poi, essendo “nativi digitali”, riescano ad usare questi mezzi con maggiore naturalezza e abilità dei loro padri e dei loro professori, non è certo una colpa. E l’utilità che ne deriva per tutti è indubbia. Non bisogna scandalizzarsi di ciò che è nuovo.
Platone, che era contrario all’avvento della scrittura – anche questa, ai suoi tempi, era una nuova tecnica comunicativa, rispetto alla trasmissione orale – ne ha tracciato nel Fedro un profilo che ne mette in luce tutti i pericoli, del resto assolutamente reali. E le sue critiche ……


domenica 7 maggio 2017

Papa Francesco agli studenti: OPPONETEVI ALLA CULTURA DELLA DISTRUZIONE



Papa Francesco, Udienza Generale in Aula Paolo VI
Foto: L'Osservatore Romano, ACI Group
Vengono da tutte le regioni d’Italia. E sono circa 7000 tra studenti, insegnanti, amministratori locali, giornalisti, genitori ed esponenti della società civile che oggi in Aula Paolo VI hanno incontrato Papa Francesco. Il loro obiettivo? Realizzare un laboratorio di pace.
Un grande striscione recita “Grazie Francesco”. E molti intervenuti su quel palco hanno ringraziato il Pontefice per il suo contributo alla pace.
Papa Francesco ha risposto a braccio ad alcune loro domande dei partecipanti all’Incontro promosso dal “Coordinamento Nazionale Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani”. Domande difficili, quesiti che molti giovani si pongono e alle quali il mondo sembra non rispondere. “Domande concrete - dice il Papa - domande ben preparate, mi auguro siano uscite dal vostro cuore, perché sono domande concrete. Voglio farvi i complimenti perché in queste domande non ci sono ideologie, sono le domande della vita”.
“Papa Francesco cosa sta succedendo? Ogni giorno strage di innocenti, bombardamenti, stupri, tortore, fame, miseria, sterminate migrazioni. In tv le immagini ci lasciano straziati, impauriti. Cosa ci dobbiamo aspettare? Perché è così difficile imparare ad amare?” E’ la domanda di Maria, la prima giovane studentessa.
Pronta la risposta del Pontefice: “Quando io ero ragazzo queste domande le facevano i vecchi. E i giovani non capivano. A me piace che voi giovani capiate che c’è qualcosa che distrugge, qualcosa che non è normale. Sta crescendo, è cresciuta e cresce fra noi una cultura della distruzione. Dio ha creato l’uomo per costruire. Ci ha dato il mondo per farlo crescere, ci ha dato l’intelligenza per le invenzioni del bene di tutti. Ma non so cosa sia successo”.
“Incomincia una cultura di distruzione, si distrugge tanto – continua Papa Francesco - Ieri su un giornale c’era la fotografia di bambini affamati, magri. Eppure c’è al mondo tanta ricchezza per sfamarli. Dio ci ha creato per costruire, per fare comunità, per vivere in pace.”
Cosa sta succedendo, ripete Papa Francesco. Ma il Papa raccomanda ai piccoli studenti di non vivere in questa inquietudine, perché c’è anche un lato bello in questo mondo. “C’è tanta gente che spende il tempo per aiutarli - incoraggia il Pontefice- L’anno scorso in Africa ho trovato una suora aveva 84 anni, e da quando ne aveva 23 aiutava gli altri, era un’infermiera. E questo non si vede in tv. C’è distruzione si, siamo un po’ pazzi tutti si, ma ci sono tante altre cose buone nel mondo. Il nostro dovere è andare verso la strada della “costruzione”.
Poi c’è la domanda di Michele. “Siria, Yemen, Sud Sudan, Ucraina, Africa… Ci sono tante guerre nel mondo, che continuano per anni e anni. I responsabili della politica internazionale alzano le mani e non fanno niente. Come intervenire? Quali strumenti?”.
Francesco risponde sicuro: “ Sei stato forte nella domanda, perché i nostri responsabili sono cosi deboli? Non possono fare niente perché il mondo si è sistemato in un modo cattivo. Dio ha creato il mondo e ha messo al centro l’essere umano. Oggi il mondo va avanti con l’uomo e la donna non al centro”.
Poi è Francesco a fare una domanda a Michele. Cosa è al centro di questo movimento mondiale? Michele aggiunge: “ Il male, i soldi, il potere”.
“Sono gli affari – conferma Francesco – il traffico delle armi, i soldi, il traffico delle persone, dei bambini, il traffico della droga”.
Poi Francesco parla del lavoro. I contratti di lavoro scadenti, che durano pochi mesi. “Questo si chiama peccato mortale”, conferma il Pontefice.
Poi c’è la domanda di Luca sulla violenza. “Violenza insopportabile. Famiglia, internet, contro donne, immigrati. E’ davvero possibile fermare la violenza con la non violenza?”, domanda il giovane ragazzo.
“Ci sono persone che usano le chiacchiere e le parole per seminare zizzanie e mettere uno contro l’altro, la violenza della lingua”, dice Francesco. Il rimedio? “Morditi la lingua - afferma il Papa- Si gonfierà la lingua, ma guadagnerai di non essere “un terrorista delle chiacchiere”. Essere miti, è la beatitudine che Francesco consiglia ai giovani. Ritrovare la mitezza.
C’è anche la domanda sull’educazione. “C’era un patto educativo tra famiglia e scuola – dice il Papa raccontando un suo aneddoto da alunno in Argentina – adesso sono i genitori che rimproverano i maestri. Dobbiamo rifare il patto educativo: famiglia, società, scuola. Tutti al servizio del ragazzo, tutti uniti”. Dunque oltre la mitezza, ritrovare l’ascolto e il dialogo.
Infine l’utima domanda. La “Laudato Si” a scuola, l’enciclica di Francesco che si concentra sull’amore della “casa comune” e del creato. “Abbiamo vissuto consumando troppo. Come possiamo affrontare sfide cosi grandi,, come quelle dell’ambiente?” Si domanda Costanza.
“E’ il consumismo – dichiara il Papa – noi non stiamo solo sporcando il creato, ma lo stiamo distruggendo”.
Rassegnazione è una parola proibita, conclude il Papa: "Qui mi arrabbio io!".

venerdì 5 maggio 2017

PARTECIPAZIONE, INCLUSIONE, INTEGRAZIONE per una società partecipativa

           
La Pontificia Accademia delle Scienze Sociali 
ha svolto la sua sessione Plenaria nei giorni 28 aprile – 2 maggio 2017 sul tema “Verso una società partecipativa: nuove strade per l’integrazione sociale e culturale”. Papa Francesco ha inviato uno speciale messaggio, datato 24 aprile e pubblicato sull’Osservatore Romano il giorno 29 aprile, che ha fatto da sfondo e da linea-guida dei lavori.
I partecipanti alla Plenaria hanno affrontato il tema della società partecipativa definendo innanzitutto i concetti di partecipazione, lotta all’esclusione e integrazione sociale e culturale, per poi prendere in considerazione i fenomeni empirici, le loro cause e le possibili soluzioni. Si tratta di concetti e di processi multidimensionali non identici fra loro e tuttavia connessi in vari modi.
La partecipazione può essere istituzionale o spontanea. La esclusione può essere attiva (voluta, come nel caso delle discriminazioni in base alla etnia o alla religione) o passiva (dovuta a cause non intenzionali, come una forte crisi economica). In entrambi i casi essa è il frutto di processi che sono stati analizzati nei loro meccanismi generativi, dato che l’integrazione sociale e culturale è il frutto della modificazione di questi meccanismi, che sono economici, sociali, culturali e politici. Lo scopo di includere le persone e le comunità nella società non può essere perseguito con misure forzate o in maniera standardizzata (per esempio con sistemi scolastici che non tengono conto delle differenze culturali e delle culture locali). Una reale partecipazione sociale è possibile solo a condizione che vi sia libertà religiosa.
I lavori hanno messo in luce la preoccupazione per il diffondersi della frammentazione sociale da un lato e della concomitante incapacità dei sistemi politici di governare la società. Questi due fenomeni si vanno diffondendo in tanti Paesi e creano situazioni di forte disintegrazione sociale, in cui diventa sempre più difficile realizzare forme di partecipazione sociale ispirate a principi di giustizia, solidarietà e fraternità.
Le cause di queste tendenze disgregative che operano contro una società più partecipativa sono state individuate nella crisi della rappresentanza politica, nelle crescenti disuguaglianze sociali, negli squilibri demografici a livello planetario, le crescenti migrazioni e il numero elevato di rifugiati, il ruolo ambivalente delle tecnologie dell’informazione e comunicazione, nei conflitti religiosi e culturali.
 Certamente il fattore più significativo che opera contro la partecipazione sociale è la crescente disuguaglianza sociale fra ristrette élites e la massa della popolazione. Le statistiche sulla distribuzione della ricchezza e delle opportunità di vita indicano degli enormi divari fra paesi e paesi e interni ai vari paesi. Preoccupa in particolare il fatto che in Europa e America la classe media si sia notevolmente indebolita, diversamente da altri paesi come l’India e la Cina dove la classe media si è rafforzata. Si deve infatti considerare che, laddove la classe media subisce dei tracolli, la democrazia partecipativa è messa in pericolo.
Nonostante tutto ciò, è possibile operare per una migliore ‘società partecipativa’ qualora si riesca ad instaurare una vera cooperazione sussidiaria fra un sistema politico che si renda sensibile alla voce di chi non è rappresentato, una economia civilizzata e forme associative di società civile basate su reti di reciprocità. Occorre rendere circolari le forme di partecipazione top-down a bottom-up, valorizzando le realtà intermedie basate sul principio di collegialità.
In sostanza, una società partecipativa è quella che afferma e promuove i diritti umani, nella consapevolezza che la legislazione sui diritti umani non può realizzare alcun progetto utopico di trasformazione sociale, ma solo creare le condizioni positive entro cui le persone e i gruppi possono agire in modo etico, cioè avere le opportunità per dedicarsi al bene reciproco l’uno dell’altro nella comunità, e sviluppare nuove iniziative sociali generative di maggiore inclusione sociale. 

giovedì 4 maggio 2017

L’INCLUSIONE NON È UN’IDEOLOGIA NEFASTA


Promozioni e bocciature, cosa c’è veramente in gioco

di Roberto Carnero

Ma davvero la rovina della scuola italiana è l’«ideologia dell’inclusione»? Lo ha sostenuto, con robusta convinzione, Ernesto Galli della Loggia sul 'Corriere della Sera' di sabato 29 aprile, in un articolo in cui ha scritto che una delle massime iatture del nostro sistema di istruzione è la tendenza a promuovere più che a bocciare.
Chi nella scuola lavora e vive quotidianamente la fatica di un mestiere certamente difficile, ma sempre positivamente sfidante, sa che uno dei suoi compiti principali è quello di trovare le strade per portare gli studenti, ogni studente, al traguardo, alla meta, cioè al raggiungimento degli obiettivi che si sono fissati in sede di programmazione. La scuola italiana negli ultimi anni ha fatto molti passi avanti in questo senso. Gli insegnanti hanno capito che per il successo della propria azione formativa è necessario mettere al centro non tanto i 'programmi' quanto i ragazzi. E chi li conosce, i ragazzi, sa che non ce n’è uno uguale a un altro. Come del resto accade con gli adulti: ma nell’infanzia e nell’adolescenza con dosi di fragilità per forza di cose maggiori.
Una classe scolastica - ha scritto lo psichiatra Vittorino Andreoli - dovrebbe essere concepita come un’orchestra musicale, in cui ciascun membro suona il proprio strumento, diverso da quello del vicino, ma tutti cooperano alla stessa melodia. Dunque l’inclusione è un’«ideologia» nefasta? O piuttosto è un dovere, una necessità etica prima ancora che 'amministrativa'? Anche perché il contrario dell’inclusione si chiama esclusione. E quest’ultima è la negazione di un vero approccio educativo. Bisogna però capire che cosa significa veramente includere.
Non si tratta certo di dare un lasciapassare indiscriminato a tutti per una promozione d’ufficio all’anno scolastico successivo. Includere vuol dire, al contrario, portare tutti i ragazzi, o quanto meno il maggior numero di ragazzi possibile, ai cosiddetti «obiettivi minimi», raggiunti i quali si è in grado di seguire con profitto il successivo anno di corso. Ma questo può essere fatto, quando la situazione del ragazzo lo richieda, anche attraverso percorsi differenziati. Per arrivare a Roma, si possono prendere strade diverse: l’autostrada del Sole, la Via Aurelia, la statale o la provinciale, magari anche, a piedi, un pezzo della Via Francigena. Ma è sempre a Roma che arriviamo, sebbene magari un po’ dopo.
Forse l’unica forma di esclusione che potremmo accettare a scuola è l’autoesclusione, quella cioè di che decide di non impegnarsi, di non studiare, di non aderire al patto educativo. Ma dico 'forse' e uso il condizionale perché anche in questo caso, prima di pronunciare la 'sentenza definitiva', abbiamo sempre il dovere, come docenti, di approfondire le cause di simili atteggiamenti. Non per una forma di giustificazionismo o di buonismo a tutti i costi, ma perché oggi la scuola è chiamata a farsi carico della complessità del mondo che la circonda. Sono finiti - che ci piaccia o no - i tempi di un arroccamento autoreferenziale in cui l’istituzione scolastica faceva parte per se stessa. Quando si parla di scuola, sono tra quanti non amano molto il concetto di 'selezione', poiché esso presuppone a priori che ci debba essere una certa quota la quale debba rimanere esclusa. Mi vedo anch’io come un educatore più che come il responsabile di un ufficio del personale chiamato a 'scegliere' alcuni a scapito di altri.
Preferisco che si parli, questo sì, di serietà e di autorevolezza. Perché la mia professionalità consiste anche nella capacità di farmi carico delle problematiche dei ragazzi che mi sono stati affidati. Solo a questo punto posso, in coscienza, anche decidere con i miei colleghi, per quanto possa essere una decisione difficile e in alcuni casi persino dolorosa, di non ammettere uno studente alla classe successiva.
Perché è vero - questo sì - che una scuola che manda avanti tutti in modo indiscriminato per una sorta di accomodante lassismo sarebbe una scuola non autenticamente democratica, in quanto, a cascata, non farebbe altro che determinare il perpetuarsi delle sperequazioni sociali. Ma ciò non è quanto accade oggi nella scuola che conosco.
Posso assicurarlo, come posso assicurare a Galli della Loggia e quanti ragionano come lui, che per avere un’istruzione di ottimo livello non serve mandare i figli alle scuole straniere o direttamente all’estero.
 Sono anzi convinto - sulla scorta di quanto ho visto personalmente e di quanto hanno documentato tanti miei studenti di ritorno dall’esperienza di un anno di liceo all’estero - che studiare in Italia resti un ottimo investimento.


DIALOGO: AVANZARE INSIEME


Lectio di Enzo Bianchi per la Fondazione Balducci a Firenze su “L’altro come dono”: la condivisione di un percorso in cui il fine «non è il consenso, ma il reciproco progresso»
Il fondatore della Comunità di Bose riflette sull’alterità a partire dal pensiero del padre scolopio: «Amerei scrivere una storia della nostalgia dell’altro lungo tutta la storia umana» Senza contrapposizioni

 di ENZO BIANCHI

«Amerei scrivere una storia della nostalgia dell’altro lungo tutta la storia umana ». È da queste parole di padre Ernesto Balducci che prendo le mosse per riflettere su «L’altro come dono». Nel nostro modo abituale di pensare e di parlare questa nostalgia è assente e ricorriamo troppo sbrigativamente a due categorie contrapposte «noi» e «gli altri». Ma è arduo definire i confini tra queste due entità e, ancor di più, stabilire con certezza chi appartiene all’una o all’altra, in che misura e per quanto tempo. Quando giustapponiamo i due termini, in realtà intraprendiamo un percorso suscettibile di infinite varianti: ci possiamo infatti inoltrare su un ponte gettato tra due mondi, oppure andare a sbattere contro un muro che li separa o ancora ritrovarci su una strada che li mette in comunicazione. Possiamo anche scoprire l’opportunità di un intreccio fecondo dell’insopprimibile connessione che abita noi e loro. Appare evidente allora come per l’essere umano la relazione con gli altri sia una delle modalità di relazione che – assieme a quella con se stesso, con il cosmo e, per chi crede, quella con Dio – gli permettono di costruire la propria identità e di vivere. Chi di noi non si è mai chiesto come percorrere i cammini dell’incontro, della relazione con l’altro, con ogni altro, con ogni volto umano?
In primo luogo occorre riconoscere l’altro nella sua singolarità specifica, riconoscere la sua dignità di essere umano, il valore unico e irripetibile della sua vita, la sua libertà, la sua differenza: è uomo, donna, bambino, vecchio, credente, non credente, ecc. È un essere umano come me, eppure diverso da me, nella sua irriducibile alterità: io per lui (o lei) e lui (o lei) per me! Teoricamente questo riconosci-mento è facile, ma in realtà proprio perché la differenza desta paura, si deve mettere in conto l’esistenza di sentimenti ostili da vincere: in particolare, c’è in noi un’attitudine che ripudia tutto ciò che è lontano da noi per cultura, morale, religione, estetica o costumi. Quando si guarda l’altro solo attraverso il prisma della propria cultura, allora si è facilmente soggetti all’incomprensione e all’intolleranza. Non spetta a me ricordare quanto sia stato decisivo il contributo di padre Balducci a tale proposito, soprattutto nelle opere dell’ultima fase della sua vita: L’uomo planetario e La terra del tramonto.
Bisogna dunque esercitarsi a desiderare di ricevere dall’altro, considerando che i propri modi di essere e di pensare non sono i soli esistenti ma si può accettare di imparare, relativizzando i propri comportamenti. C’è un sano relativismo culturale che significa imparare la cultura degli altri senza misurarla sulla propria: questo atteggiamento è necessario in una relazione di alterità in cui si deve prendere il rischio di esporre la propria identità a ciò che non si è ancora… Se ci sono questi atteggiamenti preliminari, allora diventa possibile mettersi in ascolto: ascolto arduo ma essenziale di una presenza, di una chiamata che esige da ciascuno di noi una risposta, dunque sollecita la nostra responsabilità. Non mi stancherò mai di ripeterlo: l’ascolto non è un momento passivo della comunicazione, ma è un atto creativo che instaura una confidenza quale con-fiducia tra i due ospiti, chi ospita e chi è ospitato. L’ascolto è un sì radicale all’esistenza dell’altro come tale; nell’ascolto le rispettive differenze si contaminano, perdono la loro assolutezza, e quelli che sono limiti all’incontro possono diventare risorse per l’incontro stesso.
Nell’ascolto si arriva progressivamente a porsi un semplice domanda: in verità, chi ospita e chi è ospitato? Ascoltare l’altro non equivale dunque a informarsi su di lui, ma significa aprirsi al racconto che egli fa di sé per giungere a comprendere nuovamente se stessi. E nell’ascolto – lo sappiamo bene per esperienza – occorre rinunciare ai pregiudizi che ci abitano, occorre lottare per farli tacere dentro di noi e a volte addirittura nelle posture fisiche con cui stiamo di fronte all’altro. Siamo inoltre chiamati a nominare e ad affrontare le paure che ci abitano quando entriamo in relazione con l’altro, senza pensare stoltamente di poterle rimuovere o sopprimere, perché altrimenti torneranno in seguito con maggior forza. Quando ci si immette in questo percorso di sospensione del giudizio, ecco che si appresta l’essenziale per guardare all’altro con sym-pátheia: quest’ultima è un atteggiamento che si nutre di un’osservazione partecipe, la quale accetta anche di non capire l’altro e tuttavia tenta di esercitarsi a “sentire-con lui”. In tal modo si comprende che la verità dell’altro ha la stessa legittimità della mia verità. E si faccia attenzione: ciò non equivale a dire che non c’è verità o che tutte le verità si equivalgono. No, ciascuno è legittimato a manifestare la propria verità, ognuno deve impegnarsi con umiltà a confrontarsi e a ricevere la verità che sempre precede ed eccede tutti, pur nella convinzione che la propria verità è quella su cui può essere fondata e trovare senso una vita. Questa “simpatia” decide anche dell’empatia, che non è lo slancio del cuore che ci spinge verso l’altro, bensì la capacità di metterci al posto dell’altro, di comprenderlo dal suo interno: è la manifestazione dell’humanitas dell’ospite e dell’ospitante, è umanità condivisa.
Attraverso queste tappe – mai schematiche, ma sempre da rinnovarsi nel faccia a faccia, mediante un’intelligenza creativa e un amore intelligente – si può giungere al dialogo, autentica esperienza di intercomprensione.
Dia-lógos: parola che si lascia attraversare da una parola altra; intrecciarsi di linguaggi, di sensi, di culture, di etiche; cammino di conversione e di comunione; via efficace contro il pregiudizio e, di conseguenza, contro la violenza che nasce da un’aggressività non parlata… È il dialogo che consente di passare non solo attraverso l’espressione di identità e differenze, ma anche attraverso una condivisione dei valori dell’altro, non per farli propri bensì per comprenderli. Dialogare non è annullare le differenze e accettare le convergenze, ma è far vivere le differenze allo stesso titolo delle convergenze: il dialogo non ha come fine il consenso ma un reciproco progresso, un avanzare insieme. Così nel dialogo avviene la contaminazione dei confini, avvengono le traversate nei territori sconosciuti, si aprono strade inesplorate.
Sono le strade che ha percorso Gesù di Nazareth e che ha lasciato ai suoi discepoli come tracce da seguire, facendosi maestro con la sua arte della relazione, la sua volontà di ascoltare e accogliere quanti incontrava sul suo cammino, fino a lasciarsi costruire, edificare da questi rapporti. Possiamo intendere anche in questo senso alcune parole di padre Balducci in una delle sue ultime omelie: «La riconciliazione consiste in uno scambio tale per cui uno non è se stesso se non in quanto si riferisce all’altro.
Questa condizione antropologica piena è il luogo in cui si ritagliano le positive avventure della nostra vita, certamente parziali ma che ci fanno sognare un mondo diverso da questo». Un mondo in cui possa finalmente trovare compimento il desiderio di Gesù, che è la fonte e il culmine di ogni discorso sull’altro come dono: «Voi siete tutti fratelli» ( Mt 23,8).


               www.avvenire.it